Avevamo già parlato della terapia con il plasma iperimmune qualche giorno fa. In quell’occasione abbiamo riportato alcune dichiarazioni rilasciate dal professor Giuseppe De Donno e dalla dottoressa Cristina De Silvestro, e abbiamo cercato di fare il punto per quel che riguarda i progressi compiuti ad oggi in quella direzione.
Sulla terapia al plasma iperimmune per i pazienti affetti da Covid-19 però stanno lavorando anche altrove, negli USA ad esempio, e proprio in questi giorni il Wall Street Journal vi ha dedicato un approfondimento.
Trovata la cura al Covid-19? Forse è prematuro affermarlo, ma ci sono tutte le migliori premesse per pensare che siamo sulla buona strada. Ma cos’è e come funziona questa terapia ancora in fase sperimentale? E quali sono i costi, o i rischi, se ve ne sono?
Nello speciale del Wall Street Journal viene data la parola al professor Anthony Fauci, che spiega: “questo trattamento si basa sullo stesso principio in base al quale se si dispone di un anticorpo protettivo, il trasferimento passivo di questo potrebbe fornire non solo una protezione profilattica ma anche un trattamento”.
Iniziamo col dire che quando un soggetto guarisce da una infezione virale, l’organismo produce delle proteine che combattono i virus, e queste proteine sono gli anticorpi. Questi circolano nel sangue, e hanno la funzione di proteggere l’organismo da infezioni future, ma sono specifici, il che significa che sono efficaci per contrastare infezioni legate al virus per il quale sono stati prodotti.
È così che un soggetto in pratica acquisisce l’immunità rispetto a una data infezione. Quello che si vorrebbe fare per combattere il Covid-19 è trasferire gli anticorpi da una persona che ha sconfitto il virus ad una che è ancora malata, aiutandola a combattere la malattia.
Si tratta peraltro di una terapia già usata in passato in più occasioni e con successo. Il professor Arturo Casadevall ha spiegato: “è stata utilizzata nell’epidemia di influenza del 1980, molti focolai di parotite, poliomielite e morbillo nei primi anni del 20° secolo e continua ad essere usata di recente come nel caso dell’epidemia di SARS del 2003”.
Il trattamento con plasma iperimmune è anche noto come “convalescent plasma” e sta convincendo sempre più medici anche perché al momento non ci sono ancora alternative valide per contrastare il Covid-19. Per il professor Casadevall si tratta infatti di “una valida soluzione” ed egli stesso sottolinea che “il motivo è che è disponibile oggi”.
Non sono ancora terminati gli studi clinici del caso, pertanto la sua sicurezza ed efficacia non sono state adeguatamente testate, tuttavia anche i test preliminari eseguiti in Cina hanno mostrato risultati incoraggianti, come spiega il servizio del Wall Street Journal.
Infatti negli USA la FDA ha già iniziato ad autorizzare i medici al trattamento di alcuni pazienti malati di Covid-19 con il plasma iperimmune donato da chi ha sconfitto la malattia.
Tra gli istituti che hanno iniziato a somministrare il plasma nel trattamento dei pazienti affetti da Covid-19 c’è il Mount Sinai di New York. Funziona così: i pazienti guariti che sono interessati a donare il plasma devono prima di tutto compilare un sondaggio. I medici, seguendo le disposizioni dell’FDA, sottopongno questi potenziali donatori a due tipi di test.
Il primo è un test diagnostico, attraverso il quale si verifica che il paziente non sia più portatore del nuovo coronavirus, mentre il secondo è un test anticorporale, che serve invece ad accertare che il paziente stia producendo anticorpi a sufficienza per combattere il virus.
Il procresso viene dettagliatamente spiegato nel servizio del Wall Street Journal, nel quale si spiega che: “utilizzando queste istruzioni producono in serie delle copie sintetiche di una proteina che il virus ha sulla sua superficie. Quindi prendonoi parti speciali con dozzine di minuscoli pezzetti e ricoprono il fondo di ognuno con le proteine sintetiche”.
“Successivamente inseriscono parte del plasma del donatore in ciascun pezzetto. Se ci sono anticorpi, questi riconoscono la proteina virale e si legano ad essa. Gli scienziati quindi aggiungono un anticorpo aggiuntivo che si illumina quando si lega alla combinazione proteina virale sintetica e anticorpo coronavirus”.
“Gli scienziati eseguono questo test a diverse concentrazioni fino a quando non smette di illuminarsi. Più campioni riescono a produrre, più anticorpi ha il plasma della persona. Più anticorpi ci sono, migliore è il plasma per la terapia”.
“Gli scienziati fanno continuamente questo tipo di test nei laboratori, ma per farlo clinicamente devono avvisare i regolatori. Se un potenziale donatore supera il test, i medici del Mount Sinai chiedono loro di recarsi al centro ematologico di New York dove possono donare abbastanza plasma da poter essere utilizzato per pazienti”.
Il percorso però non è ancora terminato. Restano ancora due ostacoli, tra cui la necessità di accertarsi che nel plasma non siano presenti altri virus, come ad esempio l’epatite o l’HIV, mentre l’altro ostacolo riguarda il gruppo sanguigno, che deve essere compatibile con quello del paziente che riceverebbe il plasma.
Si stima che attraverso una donazione si possa arrivare a trattare due persone. Ad oggi il Mount Sinai ha curato oltre una trentina di pazienti, ma come si fa a capire se la terapia col plasma sta portando i risultati sperati?
Il dottor David L.Reich ha spiegato che “in circa 4-5 giorni si spera che si riprendano più rapidamente di altre persone con caratteristiche simili”. “Abbiamo un team di bio-statistici che stanno iniziando a modellare ciò che accade ai pazienti nella nostra esperienza nel sistema sanitario, come la durata della degenza ospedaliera, la necessità di giorni in terapia intensiva, la necessità di un ventilatore e, naturalmente, la mortalità e la sopravvivenza” spiega ancora il dottor L.Reich.
Ma ci sono anche dei rischi, e tra questi bisogna includere la possibilità che il paziente che riceve il plasma sviluppi febbre, reazioni allergiche, persino lesioni polmonari. E se scarseggiano i test per verificare se un paziente ha il coronavirus, scarseggiano anche i test anticorporali, e questo naturalmente non aiuta.
E a proposito dei test, il professor Arturo Casadevall spiega: “se sappiamo chi sono gli individui che hanno gli anticorpi e sono guariti, può immaginare che questi stessi individui sono quelli che potrebbero lavorare in modo sicuro. Questo richiederebbe un’enorme sforzo per testare quasi tutti nel Paese”.
In questo quadro poi si rivela ancor più importante capire quante persone hanno contratto il virus senza mostrare alcun sintomo. È ancora il professor Casadevall a chiarire: “non conosciamo il denominatore, nono conosciamo il numero di persone che sono state infettate ma che non hanno avuto sintomi. La presenza di anticorpi nel loro sangue identificherà quel sottoinsieme. Devi conoscere quel numero per sapere davvero quanto è letale questa malattia”.
E proprio su quest’ultimo punto acquisisce valore lo studio effettuato in Giappone che ipotizza un elevato numero di persone che hanno contratto il virus senza mostrare sintomi, che farebbe crollare drasticamente il tasso di mortalità del coronavirus.
I pro e i contro della terapia con plasma iperimmune
I dati che arrivano dal Carlo Poma di Mantova e dal policlinico San Matteo di Pavia sono decisamente incoraggianti. L’uso della terapia al plasma per il trattamento dei pazienti che hanno contratto il Covid-19 sta funzionando, finora, nel 100% dei casi.
Ci sono però da considerare alcuni aspetti, come quello che riserva questo trattamento ai pazienti che si trovano in una ben precisa fase dello sviluppo della malattia, quelli che si trovano in situazioni ormai troppo gravi, con un decorso che ha portato alla lesione degli organi interni non possono essere curati con questa terapia.
Si parla comunque di ottimi risultati. Gli anticorpi iniettati nel sangue del paziente permetterebbero di combattere efficacemente la malattia. La fase in cui ci troviamo però è ancora quella della sperimentazione ed il numero dei pazienti coinvolti è molto limitato.
Massimo Franchini, responsabile dell’Immunoematologia e Medicina trasfusionale del Poma di Mantova, ha fatto sapere che “i risultati visti nei casi singoli sono stati sorprendenti” e ha aggiunto: “con i colleghi di Pavia stiamo riesaminando tutti i casi, valutando la risposta clinica e strumentale, per trarre delle conclusioni generali su questa che è una terapia specifica contro il Covid-19”.
Sembra voler riportare tutti coi piedi per terra invece il dottor Burioni, che a proposito della terapia al plasma ha detto trattarsi di “qualcosa di serie e già utilizzato” e ha aggiunto che questa cura “diventa interessantissima nel momento in cui riusciremo a stabilire con certezza che utilizzare i sieri dei guariti fa bene, perché avremo aperta una porta eccezionale per una terapia modernissima: un siero artificiale“.
L’idea del siero artificiale non sembra però entusiasmare il dottor Giuseppe De Donno, primario di pneumologia del Carlo Poma di Mantova che commenta: “vedo che si sta già arrovellando su come fare per trasformare una donazione democratica e gratuita in una cosa sintetizzata da una casa farmaceutica”.
Al di là di ciò, per il presidente di Avis nazionale, Gianpietro Briola, la terapia “è efficace per gli anticorpi presenti nei soggetti guariti, ma con il plasma prelevato si somministrano anche sostanze non necessarie per il trattamento di determinate patologie”.
Il trattamento con il plasma va bene insomma, ma bisogna essere in grado di “capire quali sono gli anticorpi efficaci, isolarli, purificarli e poi somministrare solo quelli in dose controllata e farmacologica”.
Volendo riassumere vantaggi e svantaggi della terapia al plasma per il trattamento dei pazienti con il Covid-19, possiamo dire che stando ai pareri espressi dagli esperti, i pro sono i seguenti:
- Rapida efficacia. Il paziente trattato con la terapia al plasma iperimmune riscontra un immediato beneficio, e nell’arco di 24 ore il miglioramento è tale che può essere estubato
- Tecnologie già disponibili. Le tecnologie necessarie per l’utilizzo di questa terapia sono già disponibili. Il plasma può essere lavorato e trattato in modo da garantire elevati standard di sicurezza.
Ci sono però anche alcuni contro, e sono i seguenti:
- Carenza di plasma. Servono quantità di plasma piuttosto elevate, e al momento si deve necessariamente contare sulle donazioni volontarie, che sono ovviamente limitate a coloro che hanno contratto il virus e possiedono quindi gli anticorpi.
- Costo elevato. Non si tratta di costi proibitivi, ma non è neppure una terapia economica. Si tratta in ogni caso di un aspetto comunque di importanza marginale, senza contare che non tutti gli esperti sono d’accordo sul fatto che la terapia al plasma iperimmune sia realmente costosa.
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