Di recente aveva fatto notizia un video diventato virale in rete, nel quale si parlava della creazione in laboratorio di un virus dalle caratteristiche simili a 2019-nCoV. Si trattava di uno speciale del TgR mandato in onda da RaiNews nel 2015, ma quello di cui si parlava nel Tg Leonardo non aveva nulla a che fare con le cause della pandemia di Covid-19, le quali, come sottolineato dagli esperti, sono invece naturali.

Proprio così, la pandemia che il mondo si trova ad affrontare è di origine naturale. L’uomo non c’entra niente quindi con la sua diffusione? Non esattamente. Pare che molto abbia a che fare con l’ambiente e con le campagne di Greenpeace.

Ne ha parlato Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM di Pavia, che ha spiegato quali sono i fattori coinvolti nella crescente frequenza di epidemie rilevata negli ultimi decenni (SARS, N1H1, Covid-19 per citarne alcune).

I fattori sono molteplici “cambiamenti climatici che modificano l’habitat dei vettori animali di questi virus” spiega Maga “l’intrusione umana in un numero di ecosistemi vergini sempre maggiore, la sovrappopolazione, la frequenza e rapidità di spostamenti delle persone”.

Lo scenario descritto d’altra parte è ben noto. Se ne parla in un rapporto sulla salute nel Ventunesimo secolo dell’Organizzazione mondiale della Sanità, che nel 2007 avvertiva della crescita del rischio di epidemie virali, vista l’alterazione del delicato equilibrio tra uomo e microbi dovuto a diversi fattori, tra i quali si annoverano i cambiamenti climatici e degli ecosistemi.

La diffusione dei virus, inevitabile risposta della natura al dissennato intervento umano

Questi nuovi virus insomma sono di origine naturale ma si diffondono in risposta all’assalto perpetrato dall’uomo ai danni della natura stessa. “Tre coronavirus in meno di vent’anni rappresentano un forte campanello d’allarme” spiega la virologa Ilaria Capua, impegnata dal 2016 nella direzione di uno dei dipartimenti dell’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida.

“Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell’ecosistema: se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a nuovi ospiti” dice ancora la virologa. La natura presenta il conto insomma, perché i danni che arrechiamo all’ambiente, come è ovvio che sia, si ripercuotono su noi stessi in un modo o nell’altro.

Se intervieni su un ecosistema e, nel caso, lo danneggi, questo troverà un nuovo equilibrio. Che spesso può avere conseguenze patologiche sugli esseri umani”.

Lo stesso argomento è stato approfonditamente affrontato da David Quammen, in un saggio che ultimamente ha notevolmente incrementato le vendite. Si intitola “Spillover. L’evoluzione delle pandemie”.

Riportiamo un passaggio del libro che sta letteralmente andando a ruba in queste ultime settimane, così come viene riportato in una intervista che l’autore ha concesso a Wired.

“Le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici. 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani, 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno ‘spillover’, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7,7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in un lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi”.

Ed è proprio questo ciò che sta accadendo con il Covid-19 che sta mettendo in ginocchio il Pianeta, o meglio sta mettendo in ginocchio la popolazione umana, posizione che, viste le cause di quanto sta accadendo è probabilmente la più indicata.

Un rischio, quello dello ‘spillover’ che è di proporzioni enormi se ci riflettiamo. In Cina le ricerche si concentrano sulla giungla, e sulle popolazioni di pipistrelli locali. In altre recenti epidemie però il virus sarebbe stato trasmesso da altri animali selvatici, tra cui la civetta delle palme, dromedari e primati.

I luoghi di origine sono associati ai deserti del Medio Oriente, oppure alle foreste tropicali africane. Esiste la possibilità concreta che emergano nuove patologie, e possono arrivare dalla foresta amazzonica, oppure da quelle dell’Australia. Lo stesso virus Ebola sembra sia arrivato all’essere umano attraverso il cosiddetto spillover, di origine incerta, ma la maggior parte degli scienziati concordano sul fatto che sia partito dai pipistrelli, mammiferi come noi, ma volanti.

Il rischio potenziale inoltre potrebbe estendersi ulteriormente se si considera la “dimensione temporale”. Se non si cambia rotta, il riscaldamento globale che porta allo scioglimento di ghiacci e ghiacciai potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi.

Può sembrare fantascienza, eppure a gennaio un team di scienziati cinesi e statunitensi ha trovato all’interno di campioni di ghiaccio datati 15 mila anni, prelevati dall’altopiano tibetano, 33 virus, dei quali 28 risultano sconosciuti.

Alcune tracce del virus della influenza Spagnola sono state ritrovate nei ghiacci dell’Alaska, e frammenti del DNA del vaiolo nel permafrost della Siberia nord-orientale. Ed è proprio il permafrost l’ambiente ideale nel quale conservare batteri e virus, almeno fino a che il riscaldamento globale che ne causa lo scioglimento non interviene liberandoli.

E cosa succede quando ciò avviene? Un’idea ce la possiamo fare ricordando un episodio dell’estate del 2016, quando in Siberia l’antrace ha ucciso un adolescente e un migliaio di renne, infettando decine di persone del posto.

Di come il clima e le infezioni siano strettamente collegati ne ha parlato anche il “Lancet Countdown Report 2019” che associa i cambiamenti climatici proprio ad una aumentata diffusione delle patologie infettive.

Il concetto è semplice. In un Pianeta più caldo, virus, batteri, funghi, parassiti trovano un ambiente più favorevole, con un incremento delle probabilità di diffondersi e ricombinarsi, con un conseguente aumento sia della stagionalità che della diffusione geografica di certe malattie.

Da Greenpeace l’allarme è stato lanciato già da tempo. Nel “Rapporto Greenpeace sul riscaldamento della Terra”, che quest’anno compie 30 anni esatti, l’epidemiologo Andrew Haines, ora direttore della London School of Hygiene & Tropical Medicine, lanciava un avvertimento sugli effetti secondari dei cambiamenti climatici. “La diffusione dei vettori di malattie dovrebbero essere causa di preoccupazione” diceva, ed eccoci qua.

In parole povere, partendo da quanto concordano gli scienziati sul fatto che il meccanismo che ha causato la diffusione del coronavirus nell’uomo è quello del salto di specie, e che tale salto è stato innescato dalla promiscuità tra animali selvatici e uomo, nonché amplificato dalla densità della popolazione nelle megalopoli, e diffuso su scala globale dalla globalizzazione appunto, gli effetti della crisi climatica potrebbero favorire scenari ancora più preoccupanti anche in un futuro prossimo.

Parliamo quindi dei virus intrappolati nei ghiacci dei Poli, o nei ghiacciai dell’Himalaya, che hanno compiuto il loro salto di specie decine, centinaia o migliaia di anni fa, che credevamo di aver debellato per sempre, o, peggio ancora, virus che non conosciamo affatto.

E torniamo a David Quammen, che a tal proposito spiega: “più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo”. Non è difficile quindi immaginare quale possa essere la soluzione, vale a dire un cambio di direzione radicale che induca l’uomo a rivedere totalmente il suo rapporto con la natura.

Bisogna fermare la crisi climatica, iniziare a proteggere seriamente la biodiversità, interrompere il fenomeno della deforestazione e ridurre il consumo delle risorse del Pianeta. L’emergenza coronavirus ora è drammaticamente attuale, ma quando sarà cessata bisognerà intervenire sui fattori che l’hanno determinata.

Spesso si parla di quanto sia importante la tutela dell’ambiente, la riduzione dell’inquinamento e delle emissioni nell’atmosfera, solo in seguito ad una catastrofe ambientale come un’alluvione, un uragano o un incendio devastante. Poi però, il mondo politico in primis, non persegue quella linea a difesa del clima che viene bellamente messa in mostra all’occorrenza.

Il coronavirus è probabilmente la peggiore catastrofe ambientale in un certo qual modo, e se non si provvede ad agire sulle cause della diffusione di nuovi virus, che sono appunto legate al dissennato intervento umano sull’ambiente, la situazione in cui vivremo non potrà che essere di grave rischio potenziale.

Ne parla la virologa Ilaria Capua che spiega: “noi viviamo in un ambiente chiuso. Come se fossimo in un acquario. La nostra salute dipende per il 20 per cento dalla predisposizione genetica e per l’80 per cento dai fattori ambientali. La cura deve studiare, oltre all’organismo in questione, anche il contesto“.

“Non possiamo uscire da questa situazione, da questo dilemma” dice invece Quammen “siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo Pianeta e solo su questo. Siamo troppi, 7,7 miliardi di persone, e consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus”.

La specie umana ha una grande responsabilità in tutto questo, avendo sottomesso la natura ad azioni spesso irreversibili, il che l’ha resa un “agente di trasformazione” come una forza geologica. Per definire l’epoca in cui viviamo, gli scienziati usano infatti il termine “Antropocene”, ma da un potere così grande non possono che derivare altrettanto grandi responsabilità.

Abbiamo sempre parlato dell’importanza di difendere il Pianeta, ma se quanto ipotizzato da ricercatori e scienziati riguardo le cause della diffusione di nuovi e sempre più aggressivi ceppi di virus nell’uomo è da ritenersi esatto, allora a rischio non è il Pianeta ma la specie umana.

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