Il premier Giuseppe Conte ha definito la sfida all’idrogeno come “il primo dei pilastri su cui si fonda il Green New Deal”, mentre il gestore italiano della rete del gas Snam ha annunciato che nel giro di un anno sarà raddoppiato il numero delle sperimentazioni per lo sviluppo di sistemi che miscelano gas naturale e idrogeno, che passerà dal 5% al 10%.
Le stazioni di rifornimento a idrogeno in Europa
L’Associazione europea dei produttori di automobili (Acea) intanto ha sollecitato l’Europa ad investire di più nelle stazioni di rifornimento di idrogeno, per le quali in tutto il continente siamo notevolmente indietro. Si pensi al fatto che in tutta l’Ue ci sono solo 125 stazioni, contro le 27mila stazioni per il rifornimento di auto elettriche. Nella sola Germania, a idrogeno, ne sono state inaugurate 17 nel corso del 2018, che portano il totale a 60.
La Germania si piazza quindi al secondo posto come numero di stazioni di rifornimento per mezzi alimentati a idrogeno, subito dopo il Giappone che ne ha più di novanta. Gli Stati Uniti si trovano al terzo posto di questa classifica, con 42 stazioni a idrogeno, segue poi il Regno Unito con 17.
Come si ottiene l’idrogeno
Per il 90% l’idrogeno si ottiene oggi attraverso i combustibili fossili, e principalmente attraverso un processo di conversione termochimica con produzione di anidride carbonica dal reforming gas naturale. Si ottiene in questo modo il cosiddetto ‘idrogeno grigio’ che poi, attraverso la tecnologia CCS, della cattura e dello stoccaggio di CO2, diventa ‘idrogeno blu’, cioè quello decarbonizzato.
Esiste anche il cosiddetto ‘idrogeno verde’ che si ottiene invece attraverso il processo dell’elettrolisi dell’acqua a partire da una fonte energetica solare oppure eolica. In questo caso si utilizza l’energia elettrica per separare molecole di idrogeno e di ossigeno nell’acqua, senza produrre quindi anidride carbonica. Questo tipo di idrogeno viene poi trasportato, immagazzinato e successivamente utilizzato come un gas.
Solo il 4-5% dell’idrogeno usato come carburante appartiene a questa tipologia, eppure in tutto il mondo gli esperti del settore ne sottolineano l’elevato potenziale, specie nei settori difficili da decarbonizzare.
In base a quanto rivelato da uno studio condotto da Bloomberg New Energy Finance, i costi di produzione potrebbero subire un calo di oltre il 70% nell’arco dei prossimi 10 anni, anche grazie alla riduzione dei costi dell’energia elettrica eloca e solare e in generale grazie alla diffusione di impianti green.
L’approccio delle compagnie petrolifere
In prima fila per la corsa all’idrogeno ci sono le compagnie petrolifere, cosa del tutto normale se si considera quanto sia ampia la percentuale di idrogeno che viene generato attualmente partendo da combustibili fossili.
La compagnia petrolifera olandese Shell, risulta attualmente impegnata nella costruzione di un impianto di elettrolisi a idrogeno presso la raffineria Shell Rheinland che si trova a Wesseling in Germania. La settimana scorsa invece la compagnia petrolifera britannica BP ha reso noto di avere in progetto la realizzazione del più grande impianto europeo di produzione di idrogeno.
Un progetto quest’ultimo che sarà portato avanti in collaborazione con la compagnia olandese Nouryon, che è una ex divisione chimica della Akzo Nobel, e il Porto di Rotterdam. Saranno impegnati nella costruzione di un impianto di elettrolisi dell’acqua da 250 MW grazie al quale si potrà arrivare a produrre fino a 45mila tonnellate di gas l’anno.
Inoltre, la stessa Nouryon, in collaborazione questa volta con il porto di Amsterdam e Tata Steel (compagnia indiana che produce acciaio) sta già lavorando alla realizzazine nella capitale olandese di un impianto di elettrolisi da 100 MW, che sarà in grado di produrre circa 15mila tonnellate di idrogeno l’anno.
Il progetto della australiana HRA
E’ stato illustrato solo pochi giorni fa, il progetto dello sviluppatore Hydrogen Renewables Australia (HRA) con la collaborazione di Siemens per la costruzione di un impianto di produzione di idrogeno verde derivante da energia elettrica prodotta attraverso eolico e fotovoltaico, destinato non solo ai consumi locali ma anche all’esportazione a nord della città di Kalbarri.
Si tratta senza dubbio del progetto più ambizioso tra quelli che prevedono l’utilizzo unicamente di energia pulita, in questo caso eolica e solare. L’investimento di partenza ammonterebbe a circa 6,75 miliardi di dollari, ma si calcola che entro il 2028 questo impianto potrebbe essere in grado di soddisfare il 10% del fabbisogno di idrogeno dell’intero continente asiatico.
Un terzo della capacità produttiva appartiene alla Cina
Se Europa e Australia si stanno muovendo per incrementare la produzione di idrogeno, la Cina non è sicuramente da meno. E’ stato il ministro della Scienza e della Tecnologia Wan Gang, considerato il ‘padre dell’auto elettrica’, a dichiarare che il Paese procederà con importanti investimenti nelle vetture a idrogeno.
Al momento in Cina si concentra un terzo della capacità produttiva di irdogeno su scala mondiale, con 20-22 milioni di tonnellate l’anno. A dimostrazione del fatto che il governo di Pechino sia fermamente determinato a procedere in questa direzione, l’inclusione nel 2019 all’interno del Rapporto di lavoro governativo dello sviluppo di stazioni di rifornimento H2.
Proprio in Cina infatti, e per la precisione nella città di Shangai, nel mese di giugno di quest’anno è stata inaugurata la più grande stazione al mondo di rifornimento a idrogeno (non verde). Trattasi di una struttura che copre un’area di 8mila metri quadrati, avente una capacità di offerta di 2 tonnellate di gas circa.
Il target di Pechino è quello di arrivare a 50 stazioni per almeno 20mila auto a idrogeno in circolazione entro la fine del 2025. In linea con questo ambizioso obiettivo, la casa automobilistica giapponese Toyota ha annunciato l’intenzione di lanciare nel mercato cinese alcuni modelli a idrogeno realizzati con i brand locali Gac e Faw, coi quali ha dato vita a delle joint-venture. Ma già nel 2018 la stessa Toyota aveva venduto in Cina circa un milione e mezzo di auto, con l’obiettivo per il 2019 di arrivare a 2 milioni.
La sfida dell’idrogeno per l’Europa
In prima fila in Europa troviamo la Germania, che è attualmente uno dei Paesi più all’avanguardia sul fronte fuel cell, ed è al momento impegnata in una campagna per la produzione di tecnologie aeronautiche che abbiano minor impatto ambientale.
A confermarlo la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel, mentre lo stesso ministero dell’Economia ha lanciato il primo programma nazionale di innovazione tecnologica sull’idrogeno. Nel mese di settembre inoltre la Flixbus, nota compagnia low cost di pullman, ha reso noto l’avvio di una collaborazione con la Freudenberg Sealing Technologies con l’obiettivo di lanciare i primi autobus alimentati a idrogeno. Si tratterebbe di 30 autobus fuel cell, dotati di un’autonomia di 500 chilometri e soprattutto ad emissioni zero.
E’ del 2018 un altro importante traguardo raggiunto in questo campo dalla Germania, con la messa in funzione dei primi due treni a idrogeno. Si tratta dei Cordia iLint, prodotti dalla compagnia francese Alstorm e Salzgitter e messi in servizio su rotaia il 7 settembre in Bassa Sassonia. Questi due treni sono dotati di celle a combustibile che convertono l’idrogeno e l’ossigeno in elettricità.
Considerato che in Europa i treni attualmente in servizio sono per il 40% alimentati a diesel, è facile immaginare quanto quello dei mezzi su rotaia sia un traguardo importante da raggiungere. Per questa ragione ci sono già diversi Paesi, tra i quali anche l’Italia, che hanno manifestato chiaro interesse per questa tecnologia innovativa già sperimentata in Germania. Le ferrovie francesi Sncf dovrebbero infatti ordinare a breve una quindicina di treni dalla Alstorm e Salzgitter.
In Inghilterra e per l’esattezza a Londra, alcuni autobus alimentati a idrogeno circolano da anni, ma a partire dal 2020 anche i famosi bus a due piani viaggeranno grazie alla stessa tecnologia. La Transport for London ha già fatto sapere che intende acquistarne 20 unità.
Interessante percorso anche quello intrapreso dalla distilleria scozzese HySpirits, con base alle isole di Orcadi, che per prima sperimenterà l’utilizzo dell’idrogeno al posto dei carburanti fossili che vengono abitualmente impiegati nel processo di distillazione, per produrre gin in modo sostenibile.
Per iniziare ad usare l’idrogeno nel processo di produzione del gin, la compagnia scozzese riceverà un finanziamento di 150mila sterline. Si tratta di una parte dei 390 milioni di sterline che il governo britannico ha messo in un fondo destinato appunto a finanziare le riconversioni industriali e la sperimentazione di tecnologie che possano contribuire a tagliare le emissioni di gas serra.
Un settore importante per l’economia britannica, se si pensa che nel solo Regno Unito ci sono almeno 350 aziende produttrici di gin. Inoltre la direzione presa dalla HySpirits potrebbe rappresentare un modello cui anche altre aziende, non solo nazionali, si ispireranno nel prossimo futuro.
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