La Regione Sicilia ha dato l’Ok alla realizzazione di tre nuovi pozzi esplorativi nell’area per la quale era già stato concesso il permesso di ricerca ‘Fiume Tellaro’, e ha rilasciato un nuovo permesso di ricerca, denominato ‘Case La Rocca’.

Per far ciò la Regione Sicilia ha aggirato il decreto semplificazioni (legge 12/2019) in base al quale tutti i permessi di ricerca e i procedimenti per le relative istanze sono sospesi in tutta Italia, applicando invece la legge regionale 14/2000, e procedendo quindi con l’attuazione del Protocollo sottoscritto nel 2014 da Mise, Eni, Regione Siciliana, Comune di Gela e altri.

Si tratta di una decisione che i No Triv non hanno accolto molto bene, annunciando, insieme ai sindaci dei comuni di Noto, Scicli, Rosolini, Modica e Ispica, che chiederanno al Ministero dello Sviluppo Economico di intervenire.

I sindaci dei comuni interessati si sono infatti incontrati con il coordinamento e i comitati locali No Triv, fermamente intenzionati a dare battaglia, anche forti delle parole del premier Giuseppe Conte. “Siamo determinati” aveva infatti dichiarato il presidente del Consiglio “a introdurre una normativa che non consenta più il rilascio di nuove concessioni di trivellazione per estrazione di idrocarburi“.

Come se non bastasse, le aree che dovrebbero essere interessate dai lavori di realizzazione dei pozzi esplorativi per la compagnia petrolifera texana Panther Oil, si trovano nella Val di Noto, conosciuta per gli splendidi paesaggi naturali, per i suoi borghi marinari e per i siti archeologici, nonché per la presenza di espressioni barocche che ne hanno decretato il riconoscimento tra i siti patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

La situazione all’epoca di Totò Cuffaro

Una battaglia, quella contro le concessioni per la ricerca e lo sfruttamento di idrocarburi, che ha avuto inizio già diversi anni fa, all’epoca in cui alcune comunità locali appoggiate da Andrea Camilleri, si opposero al rilascio delle licenze da parte del’allora governatore della Regione Sicilia Totò Cuffaro.

Tra i comuni che diedero battaglia alle concessioni per le trivellazioni ve ne erano sei in provincia di Ragusa, cinque in provinca di Catania e quattro in provincia di Siracusa. Un investimento il cui importo previsto raggiungeva i 43 milioni di euro, con royalties del 7% che sarebbero state suddivise tra la Regione, cui sarebbe spettato un terzo, e i Comuni interessati, ai quali sarebbero toccati gli altri due terzi. Era poi altresì previsto un contributo per la realizzazione di opere ambientali e infrastrutturali.

Poi la situazione si è complicata, tra proteste dei locali, sentenze del Tar, ricorsi, e addirittura la rinuncia parziale da parte dell’Oil&Gas, che riguardava però solo il 10%, o poco più, dei 746 chilometri quadrati che sarebbero stati interessati dalle operazioni di trivellazione e ricerca.

Il problema dei pozzi dei pozzi esplorativi oggi

Questo avveniva nel 2004, e oggi a distanza di 15 anni ormai da quegli episodi, la Regione torna a dire di sì alle compagnie petrolifere. Nello specifico ha dato l’ok alla richiesta che era stata avanzata nei primi mesi del 2019 dalla Panther Eureka Oil Srl, oggi Maurel et Prom Italia Srl. A firmare il decreto il 5 luglio scorso, l’assessore Toto Cordaro, col quale viene dato il via libera alla procedura per la valutazione dell’incidenza ambientale.

La Compagnia potrà quindi procedere, a meno che non intervengano altri attori istituzionali, con un rilievo geofisico della zona interessata dal permesso di ricerca “Fiume Tellaro”, che si estende per 660,37 chilometri quadrati, nei territori di sei comuni.

Ad agosto, dopo la firma da parte dell’assessore Cordaro, la Regione Sicilia ha spiegato: “si tratta di un percorso delineato dal governo nazionale nel novembre del 2018, e attuato dagli organi periferici della Regione, peraltro con giudizio insindacabile, come quello reso nel maggio di quest’anno dalla competente Soprintendenza ai beni culturali”.

Lascia quantomeno perplessi poi la nota rilasciata dal governo della regione guidato dal presidente Nello Musumeci, con la quale si afferma “la contrarietà a ogni eventuale futura attività estrattiva che possa costituire un pregiudizio per l’equilibrio ambientale e paesaggistico dell’Isola”. Ai fatti a quanto pare la direzione nella quale il governo della Regione Sicilia si sta movendo è esattamente quella opposta, agli antipodi inoltre dalla linea descritta dal premier Giuseppe Conte.

Per i comitati No Triv “la Regione Siciliana non può disapplicare la legge 12/2019” e ribadisce che le sospensioni previste dalla norma “sono strumentali alla redazione e all’approvazione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee” che riguarderà tutto il territorio nazionale, Sicilia compresa naturalmente.

Enrico Gagliano dei No Triv aggiunge che “se il Pitesai è nazionale, le sospensioni non possono trovare attuazione a macchia di leopardo”. Inoltre c’è un precedente che torna utile alla causa: il ministero dell’Ambiente ha applicato la sospensione prevista dalla legge nazionale 12/2019 alla procedura di Via 3355 inerente il permesso di ricerca di idrocarburi su terraferma “Scicili”.

L’interrogazione presentata dalla deputata di LeU

Intanto la deputata di Liberi e Uguali ed ex presidente di Legambiente, Rossella Muroni, ha depositato una interrogazione parlamentare diretta ai ministri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e dei Beni Culturali. “La giunta e i competenti uffici della Regione siciliana hanno disatteso quanto previsto dalla legge 12 febbraio 2019 in merito alle sospensioni di legge, optando per l’applicazione della legge regionale 14 del 2000, che insigni giuristi ritengono da tempo incostituzionale”.

La parlamentare di LeU sostiene infatti che nel campo della “ricerca e coltivazione di idrocarburi, e di pianificazione energetica” non è ammissibile che la Regione Siciliana possa fare di testa sua. Chiede pertanto la revoca dei decreti emanati dalla Regione il 5 e il 28 febbraio 2019, che di fatto autorizzano a procedere con le trivellazioni sul suolo italiano.

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