L’11 marzo del 2011 ci fu il terremoto che causò il famoso disastro della centrale di Fukushima. Il movimento tellurico causò infatti uno tsunami che inondò la centrale danneggiando i reattori. Ora a distanza di 8 anni dall’incidente il gestore della centrale, la Tepco (Tokyo Electric Power), ha reso noto che quando non ci sarà più spazio per stockare l’acqua radioattiva che viene utilizzata per raffreddare i reattori, questa verrà sversata in mare.

A riferirlo è il quotidiano francese Le Monde, che riporta il comunicato della Tepco appunto, spiegando che ogni giorno vengono usati oltre 200 metri cubi di acqua per raffreddare i reattori danneggiati, un processo indispensabile per evitare che si fondano producendo nuove fughe di materiale radioattivo.

L’acqua così utilizzata rimane poi debolmente radioattiva e deve di conseguenza essere immagazzinata in serbatoi appositi che sono stati costruiti nello stesso sito dell’impianto. I serbatoi non mancano, visto che la Tepco ne dispone in quantità, si parla di oltre 1000 serbatoi, con altri che verranno prodotti all’occorrenza.

Il problema è, fanno sapere dalla centrale, che date le dimensioni del sito, si possono stoccare al massimo 1,37 milioni di tonnellate d’acqua. Perciò si calcola che entro il 2022, quando non ci sarà più spazio per altri contenitori, l’acqua radioattiva usata per raffreddare i radiatori verrà sversata nell’oceano Pacifico.

La soluzione più realistica secondo gli esperti è sversare l’acqua radioattiva in mare

Il governo nipponico ha già incaricato gli esperti di studiare le possibili soluzioni al problema, ma al momento, nonostante alcune ipotesi sulle quali il team è ancora al lavoro, la più realistica a loro dire sarebbe quella dello sversamento in mare.

La commissione di esperti, tra i quali sono presenti alcuni membri dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), ha preso in considerazione 5 ipotesi, tra le quali anche l’iniezione sotterranea e la vaporizzazione. Davanti alla prospettiva dello sversamento in mare poi, gli abitanti della zona, ma anche le associazioni ambientaliste, nonché il governo della vicina Corea del Sud si sono subito allarmate.

Il ministro degli Esteri di Seul ha reso noto in una dichiarazione che “il governo riconosce in modo molto serio l’impatto che i risultati dello sversamento di acqua contaminata dall’impianto di Fukushima può avere sulla salute e la sicurezza dei cittadini di entrambi i Paesi, e per estensione su tutti i Paesi che si affacciano sull’oceano”.

Greenpeace Corea ha fatto sapere tramite un suo rappresentante, Chang Mari che: “una volta che quest’acqua contaminata e il trizio saranno nell’oceano, seguiranno le correnti marine e si ritroveranno dappertutto, anche nel mare a est della Corea.” Chang Mari continua poi con una allarmante previsione: “si stima che ci vorranno 17 anni perché questa contaminazione radioattiva sia abbastanza diluita per raggiungere un livello sicuro. E’ un problema che riguarda il mondo intero”.

Il Trizio, l’elemento radioattivo che contamina l’acqua

Sul sito Asia Times è stata approfondita la questione dell’acqua radioattiva usata per il raffreddamento dei reattori di Fukushima. Il trizio è l’unico elemento che non viene eliminato nel processo di depurazione attraverso il quale l’acqua, dopo essere stata usata per il raffreddamento, viene depurata di 62 radionuclidi.

Il livello di radioattività del trizio, che è un isotopo dell’idrogeno, è basso, ed è proprio per questo che è difficile da rilevare. Per la stessa ragione le radiazioni che emette non sono in grado di attraversare la pelle umana, ma può essere dannoso se ingerito oppure inalato.

Il trizio non è considerato particolarmente pericoloso per la salute dell’uomo, perché generalmente viene rapidamente espulso con le urine o con il sudore, inoltre nell’arco di 12 anni dimezza la sua carica radioattiva.

Il problema dello stockaggio dell’acqua radioattiva

Secondo quanto reso noto da Tepco, la capacità massima di stockaggio attualmente è di 1,37 milioni di tonnellate, e sarà raggiunta tra 3 anni. Toyoshi Fuketa, presidente dell’Autorità giapponese per il nucleare, sversare l’acqua nell’oceano è la soluzione più ragionevole e sicura, anche se l’impianto ora come ora non è ancora predisposto a tale operazione, per la quale occorrerà almeno un anno di interventi.

Una delle opzioni prese in considerazione è invece quella di costruire nuovi serbatoi, ma eventuali nuovi depositi sul sito potrebbero saturarlo, lasciando troppo poco spazio per il materiale altamente radioattivo derivante dallo smantellamento della centrale.

E’ stata valutata anche la possibilità di usare i terreni circostanti, di proprietà privata ma ormai pressoché totalmente privi di valore per via della contaminazione nucleare, per i nuovi depositi. Una solzuione che però trova un ostacolo nella legge giapponese sugli espropri, che risulta essere molto debole.

La proposta del ministro giapponese dell’Ambiente, Yoshiaki Harada, è stata commentata da Paride Meloni, responsabile della divisione dell’Enea per la Sicurezza e Sostenibilità del Nucelare del dipartimento Fusione e tecnologie per la Sicurezza nucleare.

E’ fondamentale seguire regole molto precise circa la distanza dalla costa sulla quale deve avvenire il rilascio, e circa gli intervalli di tempo tra un rilascio e il successivo” ha spiegato Paride Meloni che ha fatto presente che proposte analoghe erano state già discusse in passato. “La diluizione è stata già consigliata al Giappone in diversi scenari internazionali, perché dal punto di vista dell’impatto ambientale la diluizione nell’oceano in modo ragionato, alla giusta distanza dalla costa e a intervalli abbastanza lunghi tra un rilascio e l’altro, è molto bassa”.

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